Situata nel comune di Albugnano, in provincia di Asti, l’Abbazia di Vezzolano è uno tra i monumenti medievali più importanti del Piemonte.
Sull’origine del nome vi sono varie teorie: alcuni lo fanno discendere dalla gens latina Vetia, altri lo collegano all’antica abbazia francese di Vézelay. Probabilmente è più attendibile l'origine medievale o regionale del toponimo Vezzola o Vetiola nel significato di "recipiente d'acqua", dato che nelle vicinanze dell'edificio scorre un ruscello.
Impropriamente definita abbazia, la fondazione della Canonica di Santa Maria di Vezzolano è avvolta da un alone di mistero: una prima leggenda narra che dopo una serie di frane questa chiesa venne edificata in un punto preciso indicato da Dio, ma secondo la tradizione più diffusa il fondatore dell’Abbazia sarebbe stato Carlo Magno in persona. Si narra che, attorno al 773, l’imperatore si trovasse nei pressi della selva di Vezzolano per una battuta di caccia quando venne colto da un terribile spavento alla vista di tre scheletri saltati fuori dalla tomba. Subito soccorso da un eremita, il re dei Franchi venne invitato a pregare la Beata Vergine e, in segno di ringraziamento e devozione, venne convinto dal religioso a fondare un luogo di preghiera ove accogliere pellegrini e religiosi. Che si tratti solo di una leggenda è suggerito dall'assenza di fonti o testimonianze storicamente attendibili riguardo ai fatti tramandati: i primi documenti relativi all’abbazia risalgono infatti alla fine dell'XI secolo, quando la chiesa venne edificata grazie a un gruppo di famiglie locali che affidò numerosi appezzamenti alle cure dei chierici, accrescendo il prestigio dei canonici e agevolando l'espansione dell’abbazia nei i secoli a venire.
Nel Quattrocento l’abbazia di Vezzolano conobbe uno dei periodi di massimo splendore grazie alle rendite dei suoi territori - che ormai si estendevano fino alle diocesi di Torino, Vercelli e Ivrea – e alle molte famiglie aristocratiche che affidarono le rendite di beni e terreni ai chierici che lì vivevano. Questo periodo felice si interruppe bruscamente un secolo dopo: si racconta che Carlo Borromeo, austero e integerrimo arcivescovo di Milano, durante un viaggio per raggiungere Vercelli si fosse imbattuto nell’abbazia, chiedendo ospitalità per trascorrere la notte. I chierici, non riconoscendolo poiché vestito da semplice sacerdote, lo accolsero nelle loro modeste stanze, dove alloggiavano molte altre persone tra cui alcune prostitute. Scandalizzato dai costumi lascivi dei canonici, il Borromeo decretò la soppressione dell'ordine e l’abbazia non conobbe altra buona sorte fino agli anni Trenta del Seicento, quando passò sotto i duchi di Savoia.
Tra il Settecento e l'Ottocento, durante il governo napoleonico, prese avvio il definitivo declino della struttura con la vendita a privati del chiostro e di molti edifici connessi. Risale a quest'epoca anche la perdita dei manoscritti gelosamente custoditi da tempo immemore tra le mura della canonica: don Simone Marchisio di Aramengo, vicario di Vezzolano, reputando i documenti indecifrabili regalò al popolo le secolari cartapecore per farne dei turaccioli e per incartare le robiole. Nel 1926 i Serafino – proprietari del podere – donarono i possedimenti all’Accademia dell’Agricoltura di Torino; nel 1938 l’intero complesso monumentale fu acquisito dal Ministero dell’Educazione Nazionale, divenuto poi Ministero dei Beni e Attività Culturali e del Turismo. Nel 2015 il complesso è stato infine affidato al Polo Museale del Piemonte.
Come molte delle chiese medievali, anche l’Abbazia di Vezzolano è stata progettata sulla base di complessi calcoli matematici e misurazioni astronomiche: l’abside è rivolta ad est, verso la Terra Santa culla del cristianesimo, ed è studiata con attenzione la luce che - penetrando attraverso la bifora della facciata – illumina due volte all’anno le statue dell’Annunciazione, un effetto sapientemente studiato per evocare il simbolismo teologico della luce come emanazione di Dio.
La storia millenaria di questo luogo si percepisce attraverso la varietà di stili decorativi e architettonici che la caratterizzano: il romanico e il gotico sono predominanti ma non mancano influenze bizantine e saracene, così come si può ammirare la mano rinascimentale che risale all’ultimo periodo di lavori. La straordinarietà di questa abbazia è anche dovuta all‘ottimo stato di conservazione delle opere e dell’intero complesso, grazie agli accurati cicli di restauro che nel tempo sono stati effettuati, e tra le opere qui custodite tre meritano senza dubbio una menzione d'onore.
La prima è il maestoso pontile che divide la navata centrale: è particolarmente importante perché si tratta di un manufatto piuttosto raro in Italia, ma presente in molte chiese medievali francesi. Come è stato ipotizzato, il pontile serviva a separare gli spazi riservati ai nobili – le abbienti famiglie che finanziarono la costruzione dell'abbazia - da quelli riservati alle persone di rango inferiore e ai villici, suggerendo che la chiesa fosse stata dapprincipio concepita come la canonica di un castello. La notevole struttura è stata completata nel 1189 ed è riccamente decorata da una serie di sculture policrome: la parte superiore è dedicata ad alcune scene della vita della Beata Vergine, mentre nella parte inferiore sono rappresentati i patriarchi, da Abramo a Giuseppe. Curiosamente, pur essendo quaranta in totale, cinque di queste figure bibliche sono dipinte sulle pareti anziché essere incluse nel gruppo scultoreo: probabilmente questa fu una scelta dettata da un errato calcolo delle misure finali dell'opera.
La seconda peculiarità è lo splendido ciclo di affreschi trecenteschi. Tra questi è rappresentato - nel secondo chiostro - l’episodio leggendario che vede protagonista Carlo Magno: il cavaliere raffigurato ha la postura e l’atteggiamento di un nobile colto improvvisamente da attacchi epilettici, di cui l’imperatore effettivamente soffriva. Quest'immagine ha alimentato fantasie e leggende sul fondatore del complesso, ma il topos iconografico del “Contrasto tra vivi e morti“ è evidente: si tratta di una ricorrente immagine - d'intento pedagogico – che si può ritrovare in altre raffigurazioni del tempo e che ricordava ai nobili di cambiare vita per salvarsi dalla dannazione eterna.
Da non perdere infine lo splendido polittico tardo quattrocentesco in terracotta sull’altare maggiore. Anche quest’opera smentisce la leggenda: il sovrano rappresentato in ginocchio accanto alla Vergine sarebbe identificabile con il re francese Carlo VIII, che nel 1494 transitò in Piemonte e sostò presso l’abbazia prima di scendere lungo la penisola. Il sovrano esibisce il giglio araldico, emblema della monarchia francese, e il collare di San Michele: questo bastò a stuzzicare le fantasie secentesche sull'origine carolingia della canonica, ma tali simboli sono stati introdotti rispettivamente nel 1465 e nel XIII secolo. Due dettagli definitivamente anacrostici, considerato che Carlo Magno morì nell‘814.
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