La cucina del Monferrato gode di un'originalità difficilmente riscontrabile in altre zone del Nord Italia. Una prima motivazione si può trovare in una sorta di isolamento culturale, frutto del longevo Marchesato che ha retto per secoli le redini del territorio garantendo continuità di tradizioni e costumi. In secondo luogo, la conformazione del territorio stesso ha reso gastronomicamente unici questi luoghi: innanzitutto il paesaggio collinare che – a differenza delle grandi e dispersive aziende agricole sorte in pianura – ha costretto le genti a vivere i piccoli borghi dove la vita scorreva lenta e uguale a se stessa, e poi naturalmente i terreni e i microclimi che ancora oggi regalano eccellenti prodotti impossibili da crescere altrove.
Sopra a tutte le eccellenze, il primato spetta al fungo che da solo è stato in grado di regalare prestigio – e perché no anche un gradito ritorno economico – all'intero Monferrato: si tratta naturalmente del tartufo bianco, celebrato in numerose sagre e manifestazioni. Utilizzato per insaporire le più diverse preparazioni, nell'antipasto insalata di carne cruda può impreziosire un'altra celebrità piemontese: la carne battuta di razza Fassona. E rimanendo sui prodotti locali, la minestra di cardi e topinambur consente di assaggiare in un sol piatto il famoso cardo gobbo di Nizza Monferrato e il topinambur P.A.T. - prodotto agroalimentare tradizionale.
Tra i primi piatti posto d'onore per l'agnolotto, pietanza povera che consentiva ai parsimoniosi contadini di non sprecare gli avanzi di carne stufata. Questo raviolo quadrato, diffuso in tutto il Piemonte, in Monferrato assume peculiarità uniche: pur variando di paese in paese, il ripieno non utilizza carne di manzo bensì coniglio, volatili, persino asino. E celebri sono i ravioli dal plin, che nascono tra Langhe e Monferrato come variante del classico agnolotto: di dimensioni più piccole e chiusi con un pizzicotto – plin in dialetto piemontese – possono essere assaporati asciutti o in brodo. Tipici delle stesse zone sono i tajarin, sottili tagliolini di pasta fresca e abbondante tuorlo d'uovo conditi con sugo d'arrosto, di fegatini e frattaglie oppure con scaglie di tartufo come nella ricetta dei tajarin alla trifula.
Una menzione a sé merita la bagna cauda, vale a dire “salsa calda” in piemontese: servita come piatto unico o come antipasto, è una saporitissima crema di aglio, acciughe e olio in cui intingere verdure crude. Un tempo snobbata dai benestanti – che non ne gradivano il sapore troppo spiccato – veniva invece offerta alla fine della vendemmia come omaggio ai lavoratori. Oggi viene servita singolarmente in piccoli vasi di terracotta scaldati da una fiammella – i fojot - ma in altri tempi era un piatto conviviale da gustare in un unico tegame che veniva condiviso da tutti i commensali. L'antica ricetta la vuole accompagnata da verdure monferrine – cardo, topinambur e peperone su tutte – ma oggi viene servita con molti altri tipi di ortaggi crudi tra cui sedano, carote, cavoli e cipollotti. Altro piatto per palati forti sono le acciughe al bagnetto verde, in piemontese anciove al verd, che ricordano i secoli in cui le storiche vie del sale – che partivano dalla Provenza e intercettavano sul percorso il Monferrato – rifornivano l'entroterra non solo di sale ma anche di esotico pesce, rendendo unici i piatti della tradizione.
Tra i secondi piatti del territorio, la finanziera è così difficile da incrociare che s'è ormai ammantata di un'aura leggendaria. Piatto povero medievale – recupero della macellazione di pollame e bovini – fu così gradito alla borghesia da essere identificato con l'elegante giacca dei banchieri che lo consumavano appena possibile. Si tratta di un ricco intingolo: frattaglie di pollo – tra cui creste di gallo, fegatini e cuore – unito agli scarti del vitello e preparato con funghi e capperi; il marsala completa la ricetta con la parte umida e dolce. Più propriamente piemontesi, ma passibili di varianti locali, non mancheranno invece sulle tavole dei ristoranti il gran bollito misto alla piemontese – sette tagli di vitello piemontese, sette ornamenti e sette bagnetti tanto amati dal re Vittorio Emanuele II e da Cavour – e il fritto misto alla piemontese , piatto unico pensato per accontentare grandi e piccini nei giorni di festa: un fritto di carni e frattaglie di vitello serviti insieme al fritto dolce, ovvero frutta, verdura, polenta e persino amaretti.
I più golosi possono concludere le impegnative cene monferrine con gli amaretti di nocciola – detti nisulin – e la soffice torta di nocciole, entrambi ovviamente preparati con un'altra ghiotta eccellenza del territorio: la nocciola tonda gentile Igp. E ad accompagnare il caffè – che sia a fine pasto o a colazione – non possono mancare i Krumiri di Casale Monferrato, celebri biscotti creati dal pasticciere Domenico Rossi nel 1878: la forma ricorda il baffo di Vittorio Emanuele II, un omaggio al re d'Italia morto proprio quell'anno.
Oltre a borghi e castelli, nel Monferrato è impossibile ignorare - tra un paese e l'altro - l’opera dell’uomo che ha plasmato il paesaggio rurale. Di collina in collina è facile individuare la presenza costante di vigne; gli itinerari attraversano territori che nel corso dei secoli - nel caso della viticoltura piemontese si può parlare tranquillamente di millenni - sono stati modellati attraverso il duro lavoro. In questi territori risulta difficile segnare i confini geografici tra una zona di produzione e l’altra perché spesso coincidono, si sovrappongono, lasciano all’estro e alla capacità di vignaioli ed enologi la possibilità di produrre vini diversi, seguendo la tradizione oppure – a partire da questa - esplorando nuove strade per le future generazioni. A prescindere dalle scelte aziendali, si tratta di terreni destinati per vocazione - cioè da una particolare combinazione di fattori climatici, di natura del suolo, di varietà di vite e non ultima della testarda opera dell’uomo - alla produzione di una numerosissima varietà di vini di qualità.
E proprio la testarda opera dell’uomo si manifesta soprattutto per la presenza di vitigni che - oltre al Nebbiolo e il Barbera coltivati da tutti e da tutti conosciuti - è riuscita a selezionare varietà meno note ma che costituiscono l’eccezionale ricchezza di biodiversità del panorama italiano. In Monferrato è possibile allevare viti destinate alla produzione di vini Piemonte Doc - denominazione molto ampia che coinvolge le numerose zone della regione adatte alla viticoltura - in cui viene lasciata più libertà di scelta per quel che riguarda varietà di vitigni e tipologia di prodotti realizzabili. Merita una menzione la produzione monferrina di spumanti, sia con metodo classico - solitamente vinificato da uve Chardonnay e Pinot Nero - sia con metodo Charmat (anche detto “Martinotti”) a base di varietà bianche locali come il Cortese.
A conferma della sua predisposizione vinicola, il 22 giugno 2014 l'Unesco ha inserito il territorio nella lista dei beni Patrimonio Mondiale dell’Umanità. “I paesaggi vitivinicoli del Piemonte: Langhe-Roero e Monferrato” è un sito seriale che include – oltre alle colline che ospitano quattro celebri vitigni e al Castello di Grinzane Cavour – anche il cosiddetto “Monferrato degli infernot”. Sono, questi ultimi, delle peculiari stanze sotterranee, grotte domestiche scavate nella viva pietra da cantoni, un particolare tipo di roccia arenaria caratteristica del territorio. Oggi gli infernot - utilizzati tradizionalmente come cantine in cui conservare il vino grazie alle ideali condizioni di temperatura e umidità - sono preservati con cura, quali preziosa testimonianza di quell'industriosità appannaggio del cosiddetto sapere comune.
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Colori e sapori del Piemonte tra colline, vigneti e strade di campagna
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