Tra Vercelli e Crescentino è possibile ammirare un paesaggio molto particolare caratterizzato da un'unica coltura, quella del riso. Durante il periodo della sommersione delle risaie - da fine aprile a inizio giugno - i campi si riempiono d'acqua e, illuminati dal sole, regalano indimenticabili giochi di luce e pittoresche geometrie.
Questi ampi terreni coltivati prendono il nome di grange: il termine ricorda la parola latina "granicum" (deposito o granaio, da cui il francese "granche" e lo spagnolo "granja"), ma il significato è ben più ampio e indica una unità stanziale abitativa organizzata per la coltivazione e l'allevamento.
Le grange nascono nel Medioevo per opera dei monaci cistercensi: nel 1098 Roberto di Molesme e altri 21 monaci ribelli - desiderando ritornare ad una vita più austera e autentica - decidono di allontanarsi dai confratelli e fondare il Nuovo Monastero; il luogo scelto per l'edificazione fu un isolato terreno ricco d'acqua e di boschi conosciuto come Citeaux: chiamato in latino Cistercium, questo campo solitario diede il nome anche al nuovo ordine religioso.
A differenza di altri monaci che conducevano vite di solitudine e preghiera, i cistercensi decisero di abbracciare con rigore la regola benedettina ora et labora che – accanto ai quotidiani doveri spirituali – imponeva almeno cinque ore al giorno di intenso lavoro fisico. Forti di una gestione interna estremamente organizzata, gli operosi monaci disboscarono e dissodarono terreni, incanalarono acque e resero coltivabili vaste aree in Italia e in Europa: a distanza di un solo secolo dalla fondazione dell'ordine si contavano già mille abbazie e oltre seimila grange, dalla penisola iberica fino alla Palestina.
Le grange diventarono veri e propri distaccamenti di monaci lavoratori che dipendevano da un'abbazia centrale, all'interno dei quali vi erano campi ed unità abitative, oltre che ricoveri per gli animali e magazzini per gli attrezzi e il raccolto. L'insieme degli edifici della grangia veniva spesso circondato da mura o da fossati per impedire furti o scorrerie. All'interno vivevano in modo stanziale gruppi di monaci chiamati conversi, ovvero staccati dal convento e dediti alle attività agricole; durante i periodi più intensi di aratura o mietitura venivano impiegati anche braccianti esterni, regolarmente salariati, chiamati mercenari.
Secondo le norme più antiche, le grange dovevano distare dall'abbazia centrale non più di una giornata di cammino, per consentire ai fratelli conversi di partecipare alle funzioni religiose domenicali e anche per una sorta di controllo da parte dell'abate sulla gestione dei suoi possedimenti: i primi nuclei abitativi infatti non comprendevano una cappella e la vicinanza all'abbazia costringeva i monaci a presentarsi di frequente al cospetto dell'abate. Il crescere dei possedimenti allungò però le distanze, e dunque si cominciarono a costruire cappelle anche all'interno delle grange, creando così veri e propri villaggi quasi autonomi; l'abbazia continuò comunque ad esercitare la sua supervisione, dato che la celebrazione quotidiana dell'Eucarestia poteva essere organizzata solo grazie al permesso del vescovo, impedendo alla cappella di entrare in competizione con le vicine chiese parrocchiali.
La gestione del territorio da parte delle comunità cistercensi, perfettamente organizzate e altamente produttive, rese le abbazie molto potenti e permise loro di vantare una netta superiorità nei confronti dei grandi proprietari terrieri dell'epoca; al contrario, questi ultimi si rivolgevano spesso alla manodopera dei monaci per la bonifica dei propri possedimenti, al fine di trasformarli in terreni produttivi.
Le grange rappresentarono uno strumento determinante nel processo di trasformazione di una zona incolta in terreno arabile: l'intera Europa medievale – un tempo coperta da acquitrini e boschi impenetrabili – cambiò per sempre il suo volto.
Un esempio di questa efficiente gestione agricola del territorio si ebbe con l'abbazia di Lucedio, nei pressi di Trino: i monaci che giunsero in queste terre dalla Francia bonificarono la malsana e inospitale pianura vercellese e introdussero la coltivazione del riso, che in poco tempo andò a sostituirsi al grano grazie al suo maggiore apporto nutritivo.
Nel corso degli anni i monaci accumularono possedimenti e terre a tal punto da diventare una vera e propria potenza interna al marchesato del Monferrato, con territori che si estendevano sia nel Vercellese sia sulle rive destra e sinistra del Po, le cosiddette “Grange di Lucedio”: Montarolo, Montarucco, Leri, Darola, Castelmerlino e Ramezzana.
Grandi cambiamenti e nuovi signori attendevano queste terre: nel corso della storia l'abbazia fu secolarizzata, i monaci trasferiti, i vasti terreni frammentati e ceduti a privati. Imponenti opere idrauliche realizzate con sacrificio e ingegno - come il Naviglio d'Ivrea e il canale Cavour – consolidarono definitivamente la vocazione risicola del Piemonte intero. Oggi il triangolo Vercelli-Novara-Pavia copre il 60% della produzione italiana, ma ci piace ricordare che è proprio nella piccola abbazia di Lucedio che è iniziata la storia del riso in Italia.
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Colori e sapori del Piemonte tra colline, vigneti e strade di campagna
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